Quando ero una giovane e rampante universitaria (badate, non
molto tempo fa), si alternavano a passo di giava solo due stagioni: il periodo
pre-esame e il periodo post-esame.
La prima fase durava in media una quarantina di giorni,
durante i quali l’unica attività era uno studio matto e disperatissimo con
progressiva e inesorabile alienazione, una vera e propria discesa negli inferi.
Giacevo sul letto sfatto, con un pantalone della tuta (che,
povero, non ha mai trovato utilizzo migliore), un maglione da penitente, in
posizione Penseur, accumulando intorno a me chili di fogli, pile di libri,
qualche brufolo, arcobaleni di evidenziatori, liste (e, massimo della
perversione, liste di liste), ma soprattutto sporcizia. Eh sì perché allora
seguivo l’assurda credenza che l’acqua lavasse via anche le nozioni che avevo
malamente stipato, quindi una settimana prima dell’esame, allo scoccare del
countdown, imboccavo il tunnel del degrado.
Il giorno dell’esame mi trascinavo
alla meno peggio in aula, avendo cura di risultare appena decente (in preda al
puro delirio, venivo trascinata coercitivamente da qualche anima pia, che non
citerò in questa sede).
Superato l’esame (il sistema era collaudato, il buon esito
era una costante), novella Proserpina, ritornavo alla luce. Era una resurrezione, con tanto di catarsi. Il giorno dopo una notte pesta.
Durante la fase post esame, ero sempre a zonzo, tra teatri e
cinema, con makeup impeccabile e sorriso svagato, frenetica e luminosa. Per non
perder tempo e ragione, seguivo pedissequamente l’unico testo scritto in cui ho
mai creduto: “lista di cose da fare dopo l’esame".
Un giorno, seguendo la suddetta, mi ritrovai a Barcellona,
ma questa è un’altra storia.
Insomma tutto questo per dire che io pensavo che quell’ebbrezza
da libertà ritrovata dopo un periodo di impegni che ti schiacciano, quando l’aria
fresca nei polmoni risulta una novità e anche un debole sole ti fa socchiudere
gli occhi, fosse una di quelle sensazioni che non proverai mai più una volta
raggiunta l’età dell’emancipazione.Speravo che i ritmi iventassero monotoni, ma costanti.
E invece mi sono dovuta ricredere (se pensate che in questi
ultimi dieci giorni di assenza io sia stata in carcere, la risposta è no, anche
se la cosa non avrebbe suscitato alcuna meraviglia).
Ho deciso di dedicarmi spirito e corpo ad un’attività che
rimandavo da tre anni ormai: il lavori di ristrutturazione. Mi sono barcamenata
senza sosta tra lavoro e gestione di muratori polverosi e distruttivi. Non ho
indossato tuta e maglione da penitente solo per decenza, ma la dedizione e
conseguente obnubilazione sono state le stesse. In questi dieci giorni, ho alzato
cardarelle piene di materiale di risulta, ho ricevuto telefonate di improperi
dai vicini, respirato l’intonaco caduto, mangiato panini a pranzo e cena, usato
il bagno per pochi e fugaci momenti, ho guidato per chilometri con a bordo le
bambine e gli operai che giocavano con le carte degli animali e ogni tanto si
appisolavano sui sedili Ho rimandato tutti gli incontri interessanti, tutte le
attività ludico-ricreative che mi impongo, tutte le frivolezze, ho rimandato
tutta me stessa.
Mi aspetta ancora una settimana di polvere e mazzole, ma sento che manca poco
alla resurrezione.
Siate pronti.
Oh mamma mia! fammi sapere se hai bisogno d'aiuto con le bambine, me le prendo, le impupazzo tutte carine e me le porto a spasso <3
RispondiEliminaNon vuoi entrare anche tu nel nugolo di polvere? abbiamo anche dei deliziosi cappelli di giornale a forma di barchetta.
Elimina